di Nico Raffi 

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Tre mesi per dotarsi di una propria identità e, ad oggi, molti interrogativi restano ancora irrisolti. La Lazio ha sin qui mostrato due profili esattamente opposti, tanto che non è semplice riconoscere il volto più veritiero della squadra di Stefano Pioli. Quello esibito fuori dai confini nazionali, dove Klose e compagni hanno dominato il proprio girone qualificandosi con un turno d’anticipo ai sedicesimi di Euro League, oppure quello, discontinuo e contraddittorio mostrato in campionato? Quello pimpante e autorevole sciorinato all’Olimpico, oppure quello praticamente catastrofico proposto in trasferta? Domande a cui Pioli dovrà in fretta offrire delle risposte credibili, se il tecnico emiliano non vuole rischiare di vanificare l’ottimo lavoro svolto sulla panchina laziale nella stagione scorsa, conclusasi con un inaspettato terzo posto e una sorprendente qualificazione in Champions League.

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La subitanea eliminazione dallo scenario europeo più prestigioso ad opera del Bayer Leverkusen e il successivo rendimento altaenante in campionato hanno tolto numerose certezze alla compagine biancoceleste, adesso costretta a misurarsi con una classifica nettamente al di sotto delle aspettative. In campionato la Lazio non vinpioli allenamentoce da oltre un mese e, nelle ultime quattro gare, ha racimolato appena un punto. Lontano dall’Olimpico , la squadra di Pioli è riuscita a conquistare l’intera posta soltanto a Verona, mentre, nelle altre cinque sfide, sono arrivate altrettante sconfitte, alcune di esse assai pesanti, come la debacle di Chievo, lo 0-5 contro il Napoli di Sarri e il mal digerito capitombolo nel derby capitolino. La vittoria europea contro il Dnipro di pochi giorni fa, all’indomani del ritiro punitivo voluto dal presidente Lotito, ha un pò rasserenato l’ambiente ma l’impressione è che il cielo biancoceleste sia ancora gravato da numerose nubi. La campagna di rafforzamento operata dalla società è stata condotta con poca convinzione Ed eccessiva superficialità. Sono arrivati giovani, per lo più stranieri, apparsi non esattamente funzionali all’organico, se si eccettua il 20enne olandese Kishna, promettente esterno offensivo prelevato dall’Ajax e il giovane bosniaco Milinkovic Savic che in realtà deve ancora terminare il proprio processo di ambientamento. In attacco, laddove il monumentale Miro Klose, dall’alto delle sue 37 primavere, sembra giunto al crepuscolo di una luminosa carriera, i vari Djordjevic, Matri e Keita non paiono in grado di produrre l’auspicato salto di qualità. Il centrocampo, il reparto più qualitativcandrevao della squadra, è stato sin qui orfano del miglior Antonio Candreva. Il centrocampista romano, lo scorso anno, è stato l’assoluto protagonista della cavalcata Champions della Lazio, con 10 gol e 13 assist.

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Quest’anno Candreva, sta faticando tremendamente a ritrovarsi e la squadra non appare in grado di poter fare a meno del suo estro e della sua imprevedibilità. In un reparto di assoluto spessore che può contare su individualità del calibro di Biglia, Parolo, Cataldi e Lulic, la luce è spesso accesa dal talento brasiliano di Felipe Anderson, corteggiatissimo dalle big europee, Manchester United in primis. Stefano Pioli, che nel frattempo è tornato al 4-3-3 nel tentativo di alzare il baricentro della squadra e sfruttare meglio la vena realizzativa di Candreva e Felipe Anderson, dovrà andare alla ricerca di nuovi equilibri, continuità e concretezza se intende invertire la rotta e mettere a tacere i mugugni che rumoreggiano intorno al mondo laziale.

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