Come ben sappiamo, il calcio moderno trae le proprie origini dall’Inghilterra di metà XIX secolo. Nella patria dell’industrializzazione e del commercio, lo sviluppo delle città portarono benefici ai lavoratori e lo sport trovò terreno fertile per fiorire e mostrare a tutti i suoi preziosi frutti, simboli di civilizzazione. Proprio in quel terreno in cui, inizialmente, il gioco con la palla era teatro di risse e tumulti, in quei prati comunali accessibili a tutti, i commons, il calcio non ancora istituzionalizzato era in grado di creare tensioni e scontri tra i partecipanti. Famosi furono i tentativi di divieto promossi dalle autorità locali e statali per mettere a freno gli impulsi che minacciavano la coesione sociale. Solo con l’avvio della regolamentazione, sia interna che esterna, nelle istituzioni e nelle regole del gioco stesso, il calcio prese i contorni che ancora oggi lo delimitano. E fu così che nelle isole britanniche, negli Stati Uniti d’America, in tutte le colonie inglesi e ovunque sulla terraferma dove vi fosse una grande concentrazione di inglesi, il calcio fu giocato così appassionatamente che presto le partite conquistarono ammiratori anche nei paesi limitrofi. Da lì a poco, in tutta Europa, il gioco si diffuse rapidamente. Dapprima tra i suoi due vicini, Scozia e Irlanda, poi nei Paesi Bassi, Germania, Francia, Austria, Ungheria, Italia; il calcio, come sport, diede avvio ad un particolare processo di globalizzazione, un linguaggio universale accessibile a tutti e promosso dalla nascente borghesia, dalla classe operaia e persino dagli aristocratici. Un linguaggio, come detto, che paradossalmente ebbe molta più fortuna di quello inventato dal medico polacco Ludwig Zamenhof, che proprio in quegli stessi anni, nel 1887, promosse l’esperantocolui che spera – come tentativo di creare dei fondamenti di una lingua universale con la speranza, appunto, di una perenne intesa tra i popoli.

Il tentativo di costruire una preistoria del calcio nasce proprio da qui. Al tramontare di un secolo in cui gli Stati Nazionali erano ancora nel pieno della loro forza e consapevolezza, anche un semplice gioco come il calcio era visto di cattivo occhio poiché proveniente da oltre i propri confini, come un germe che infettava la propria cultura e tradizione. Soprattutto nelle scuole di ginnastica, dove il calcio cominciò a farsi strada, vi fu la necessità di studiare la sua storia per dimostrare in tutti i modi come questo gioco avesse radici più antiche, facenti parte di un terreno culturale sul quale i propri antenati non avessero niente da invidiare ai britannici. Si può forse affermare che questo è stato il mitologema che ha permesso al calcio di espandersi ed istituzionalizzarsi, soprattutto in Europa. Il gioco del calcio non ha avuto, cioè, dei veri e propri contorni che lo definissero come tale, un gioco specifico cronologicamente anteriore alla fondazione dello sport, ma crederlo ne ha permesso la nascita e lo sviluppo al di fuori dell’Inghilterra. E ciò ebbe inizio, come detto, soprattutto nelle scuole. In Germania, ad esempio, dove il gioco veniva persino chiamato inizialmente con tono dispregiativo “malattia inglese” o “il piede ciondolante”, una volta constatato l’inevitabile successo, la principale preoccupazione fu quella di dimostrare alla comunità della ginnastica nazionalista che il calcio non ebbe origine in Inghilterra. Così anche in Francia, nel manuale di ginnastica e giochi scolastici pubblicato nel 1893, compilato per conto di il Ministero della Cultura francese, si trovano istruzioni dettagliate e regole elaborate con cura per questo gioco. Fino ad arrivare in Italia, specialmente al nord, dove il calcio inglese si era affermato prepotentemente, gli istituti scolastici si presero cura diligentemente della pratica sportiva in modo che potesse trasformarsi in un gioco di ginnastica generale esemplare. E anche in questi casi, avvalendosi del diritto di avere alle spalle una lunga tradizione che conteneva la sua origine. Ma quali sono questi giochi antenati del calcio?

Se scorriamo all’indietro le pagine della storia, non possiamo che scorgere un legame stretto tra la sfera del sacro e quella del gioco. Antiche cerimonie, rituali e pratiche divinatorie, tipicamente appartenenti alla sfera del sacro, prevedevano il gioco con la palla. Questo, ad esempio, riproduceva la lotta degli dèi per il possesso del sole. Dall’antichità giungono frammenti, storie, opere d’arte in cui questo gioco sembra avere le sembianze dello sport moderno, ma è chiaro che risulta difficile paragonare tutto ciò al calcio di oggi. Si racconta che i primissimi furono i cinesi al tempo dell’impero Giallo di Huangdi, all’incirca 4000 anni fa. In alcuni bassorilievi ed incisioni su monumenti antichi si possono scorgere uomini che giocano con la palla usando i piedi. A quel tempo le truppe militari si cimentavano in un gioco chiamato Tsu Chu, che letteralmente significa “palla calciata con i piedi”. Con un pallone di cuoio riempito di capelli di donna, così raccontano le leggende, lo scopo del gioco era di mirare un cerchio sostenuto da due canne di bambù. Alcuni giochi analoghi si ritrovano pure in Egitto ed in Giappone. Testimonianze più dirette ci giungono dai tempi dell’Impero romano in cui vennero scritti diversi trattati sull’argomento. Nel II secolo d.C., il medico Galeno scrisse appositamente Sul gioco della palla, un prezioso opuscolo in cui si riportano gli apprezzamenti dei medici greci sul valore dei giochi per la salute. Era probabilmente quello che veniva chiamato harpastum, riscontrabile nelle fonti romane ma riconducibile ad origini greche. Anche scrittori come Marziale e Seneca parlano di harpastum, di come nelle calde terre italiche si sollevavano grandi nuvole di polvere a causa dei repentini e violenti movimenti dei giocatori sul terreno arido. Da una lettera di Seneca, in cui si descrive anche la sferomachia, si apprende la sua rabbia per l’attrazione che suscitavano questi giochi sui giovani, della brutalità con cui venivano svolti in mezzo alla polvere incandescente sotto il sole più caldo, sopportando un grande sforzo fisico e scontri violenti, talvolta con perdite di sangue che i giocatori non temevano. E sembra chiaro, dalle parole di Seneca quando descrive le grida tremende che risuonavano dallo stadio, che il “polveroso harpastum” abbia alcune analogie con il calcio sviluppatosi nell’Inghilterra preindustriale, se non tanto nelle specifiche regole, nei modi in cui veniva svolto. Un vero e proprio gioco di squadra con la palla, aspro e violento, con un numero limitato di giocatori che non doveva superare gli undici partecipanti per parte. Nella Grecia antica, giochi pressochè identici venivano chiamati con diversi nomi: episkyros, epikoinos, la palla comune che prevedeva un numero maggiore di giocatori, Ephebike, la palla di Efebo, nome adatto per i giovani più vigorosi, ma che non escludevano, a Sparta per esempio, la partecipazione delle ragazze. Così come nei primi racconti sulle partite inglesi, anche in Grecia veniva facile paragonare il campo dei giochi come un campo da battaglia e le due parti contrapposte come due eserciti ostili. I giovani spartani, si racconta, si preparavano alle partite come se dovessero combattere.

Questo rapporto tra i giochi con la palla e la violenza, che da esso e in esso discendeva, si protrasse anche in tutto il Medioevo. In questo periodo, le regole cominciarono a delinearsi ed il calcio a prendere una forma precisa. La palla si fece più grande, premonitrice di un mondo in espansione. Ma siamo ancora lontani da ciò che venne definito sport qualche secolo più tardi. Durante il Medioevo, infatti, sono diverse e frammentate le realtà in cui si giocava a calcio. Molto spesso le partite fomentavano sentimenti di eccitazione che coinvolgevano sia i partecipanti che il pubblico che assisteva, ed il gioco si mostrava violento e senza regole. Non è un caso che in questo periodo si cercò di vietare in qualsiasi modo questo tipo di pratiche. Uno dei primi divieti fu emesso a Londra nel 1314, in un proclama del sindaco della città a nome di re Edoardo II, il quale intervenne personalmente alcuni anni più tardi, nel 1365 per confermare la disapprovazione per questi giochi. Il calcio era visto, agli occhi del re, come una perdita di tempo e una minaccia per la pace. Sarebbe stato più utile, consigliavano gli Sheriffs, che il popolo si fosse addestrato all’uso delle armi da guerra o ad altre esercitazioni militari. Con un documento emesso dal sindaco di Chester, il 10 gennaio 1540, si cercò di introdurre una nuova tipologia di attività, una corsa a piedi che sostituisse il consueto svolgimento delle partite popolari che continuavano a provocare tumulti e sommosse. Tuttavia, gli scarsi risultati di questi divieti portarono all’ordinanza di proibizione del football promulgata a Manchester nel 1608. Il Bando sopra il gioco del calzo, pubblicato a Bologna nel 1580, il successivo Prohibitione del giocare alla palla, sono solo alcuni esempi dei tentativi delle autorità statali e locali di sopprimere questi giochi che mettevano a rischio l’equilibrio sociale. Anche la Chiesa provò in tutti i modi a contrastarli. A questo proposito appare significativa l’iscrizione anonima scolpita sul fianco della chiesa di San Rocco a Ragusa, datata 1597, che tradotta recita: «Pace a Voi, ricordate che morirete, Voi che giocate alla palla». Anche se oggi può sembrare ironica, questa scritta risultava un ammonimento per i giocatori locali; secondo alcuni studiosi, è importante notare come le dimensioni della via dietro San Rocco corrispondono ai campi da gioco per il calcio nel Rinascimento, proprio come lo si praticava a Firenze. Nella culla dell’Umanesimo, infatti, il calcio in livrea era considerato l’erede diretto dell’harpastum romano.

Ma cosa è successo quando invece di contrastare con la repressione questi giochi si è provato a comprenderli all’interno delle istituzioni, cercando di arginarne il più possibile la violenza che ne scaturiva? Ebbene solo a quel punto è nato il calcio come sport. Questi giochi, infatti, vennero a far parte di una specifica organizzazione sociale dell’Inghilterra industrializzata che riuscì a controllare gli impulsi violenti con precisi standard di autocontrollo. In altri termini, lo sport nacque come una codificazione di quei giochi di origine medievale che creavano un eccitamento eccessivo delle folle, con lo scopo di procedere ad una razionalizzazione emotiva della vita sociale. Ciò è stato l’effetto di una trasposizione tipica di un processo di civilizzazione, che ha allontanato nella competizione l’orizzonte della violenza, trasformandola in competizione sportiva. Sebbene la componente ludica è rimasta presente nelle prime forme di sport, con il passare del tempo e la progressiva industrializzazione, il calcio è stato predisposto in larga misura per atleti professionisti, allenati per sostenere regolari incontri e controllati da un apparato burocratico che li gestisce e li finanzia. La competizione, per questi motivi, è divenuta una componente fondamentale di questa trasformazione. E l’Inghilterra, grazie ad una pacificazione delle classi interne impensabile per le altre nazioni europee, era perfettamente predisposta ad attuare questo tipo cambiamento dei giochi, da semplici passatempi a sport istituzionalizzati. Nacquero e si svilupparono, così, le prime società sportive che hanno fatto del calcio il gioco più seguito al mondo.

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2 Commenti

  1. Bell’articolo. Consiglio, in merito alla nascita del football inteso come sport professionistico, la visione della serie The English Game, su Netflix. Ma si trova anche altrove 😉

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